LUCA BORGOMEO
1978. Quella mano sulla spalla
“Pronto, pronto, Luca, la polizia ha arrestato cinque o sei brigatisti che stavano facendo una rapina ad un supermercato, qui, alla Tiburtina. Fra questi c’è uno della Cisl, una giovane donna, una sindacalista. Nella sua macchina, una 500 hanno trovato un pacco di volantini delle Br. Ora i brigatisti li stanno portando via, in Questura”.
Così, dalla voce concitata di un amico appresi la brutta notizia: la sindacalista arrestata in flagranza di reato (la rapina a mano armata, che per i brigatisti era un esproprio proletario), era la segretaria della Sas-Cisl (la sezione aziendale) della Fib -Cisl della Banca Nazionale del Lavoro. Una tegola tremenda per la Cisl e per la Cisl romana in particolare.
Era l’inizio del ’78, un anno segnato da una gravissima crisi economica, politica e sociale e dal dilagare della follia pseudo-rivoluzionaria e dalla furia assassina delle Brigate rosse. Nei confronti del terrorismo la Cisl, guidata da Luigi Macario, era sempre stata – come anche Cgil e Uil – molto determinata nella condanna e nel ribadire la necessità di un forte fronte unitario per contrastare la grave minaccia al sistema democratico e alla convivenza civile degli italiani. Ma tanti (troppi!) i fatti di segno opposto, molto preoccupanti, che si verificavano.
Non solo – purtroppo anche nella Cisl – qualche dirigente nazionale faceva proprio l’aberrante slogan “né con lo Stato, né con le Br” – ma, in particolare nelle fabbriche metalmeccaniche di Milano, Torino e altre zone industriali, si registravano inquietanti collegamenti tra i lavoratori, anche iscritti ai sindacati confederali, e le Br. Certamente, erano frange isolate, ma non mancarono casi di “sostegno” e di “fiancheggiamento” alle loro iniziative.
A Roma, rari e del tutto irrilevanti i casi di “intelligenza” col nemico brigatista. Questo grave fatto, che coinvolgeva direttamente la Cisl e una categoria “non operaia”, i bancari, destava grandissima preoccupazione. Bisognava dare subito un segnale netto, inequivocabile. E allora, sentiti i colleghi di segreteria dell’Unione (ero stato eletto segretario generale pochi mesi prima, nel congresso del 1977), decisi l’espulsione dalla Cisl della giovane sindacalista.
In una breve nota stampa, ripresa subito dalle agenzie, la Cisl di Roma non solo deplorava l’accaduto ed espelleva la “brigatista”, ma convocava – d’intesa con la segreteria della Federazione dei bancari – un’assemblea di tutti i dipendenti della filiale romana della Bnl per ribadire la ferma volontà di contrastare uniti le Br (e l’assemblea si svolse nel grande salone della Banca, nella sede centrale di via Veneto, con grandissima partecipazione dei lavoratori e l’intervento anche del Presidente della Bnl, Nerio Nesi).
Pochi minuti dopo la notizia, battuta dall’Ansa, della espulsione della brigatista, da via Po, sede della Cisl nazionale, giunge una telefonata. Sono “convocato” d’urgenza. Il segretario generale, Macario, mi vuole vedere, subito.
E dopo poco minuti sono in via Po. I rapporti tra la Cisl nazionale e l’Unione romana non erano “buoni”, non certo sul piano personale, ma su quello politico. Pesavano ancora i contrasti che avevano segnato il congresso del giugno del 1977 tra le due componenti, che si riconoscevano nelle strategie sindacali di Carniti e in quelle opposte di Marini; in quel congresso prevalse la linea di Carniti e fu eletto segretario generale Luigi Macario, che succedeva a Bruno Storti alla salda guida della Cisl da ben 18 anni.
La Cisl di Roma, schierata decisamente a sostegno di Franco Marini, era – come si dice – all’opposizione: la “convocazione” urgente di Macario non poteva non preoccuparmi.
Macario mi accolse in modo amichevole e cordiale, ma, dopo aver espresso la sua grande preoccupazione per il grave fatto che poteva gettare cattiva luce su tutta la Cisl, mi fece osservare che, anche in presenza di un fatto incontrovertibile, una grande organizzazione democratica come la Cisl deve adottare un provvedimento di tale gravità (l’espulsione di un iscritto, di un quadro) rispettando le regole fissate dallo statuto, le procedure, i regolamenti, la verifica dei fatti, i probiviri ecc. ecc.
Macario, pur esplicitamente concorde nel ritenere gravissimo il comportamento della cislina-brigatista, esprimeva qualche perplessità sulla “immediata” decisione assunta dalla Cisl romana. Ascoltavo Macario e, via via cresceva la mia preoccupazione. Le parole di Macario mi suonavano quasi come una presa di distanza dalla mia decisione e, forse per la forte tensione, per l’eccitazione del momento, bruscamente lo interruppi e gli dissi con voce alterata: “Senti, Macario, o sta lei (la brigatista) nella Cisl o ci sto io!”.
Senza aspettare una replica, mi alzai e imboccai la porta. E tornai sconvolto in via Muratori, la sede della Cisl romana. Ma appena arrivai, non ero ancora sceso dalla mia Giulia, mi dissero che dalla confederazione avevano richiamato e dovevo tornare subito. Ero molto preoccupato, in preda a una grande ansia, temevo che per la piega che aveva preso la vicenda, poteva anche concludersi la mia scelta di vita, quella di lavorare nel sindacato. Ma…
In via Po, in portineria. mi dissero che dovevo andare a parlare con Pierre Carniti, segretario generale aggiunto. Appena l’incontrai ebbi netta la sensazione che, forse, le cose si mettevano bene. Pierre mi accolse bene e mi parlò – come nel suo stile – senza frasi fatte e diplomatiche, senza alcuna critica a Macario e senza nessun rilievo al mio comportamento, forse un po’ irruento, ma nella sostanza giusto. Una mano sulla spalla e il “caso” finì così.
Questo incontro, di breve durata – ancora vivo nella mia memoria, dopo 42 anni! – fu per me di straordinaria importanza, non solo perché non chiuse la mia esperienza cislina, ma anche perché segnò un mutamento profondo del mio giudizio su Pierre. L’ho sempre apprezzato, per le sue doti umane, il suo rigore morale, la sua intelligenza, la sua capacità di esercitare una forte leadership, ma sempre in modo semplice, sobrio, e con grande disponibilità all’ascolto, al confronto, alla condivisione delle scelte.
Di Carniti, prima dell’incontro del febbraio ’78, avevo un giudizio sempre di stima e ammirazione, ma non del tutto positivo. Non condividevo alcune sue scelte politiche e sindacali e, soprattutto, la sua dura e intransigente opposizione a Storti, del quale ero sostenitore e collaboratore; non condividevo il disegno “egemonico” sulla Cisl che animava l’azione della forte federazione dei metalmeccanici, contrastato da un’ampia parte dell’organizzazione. Forse, in alcune occasioni la dialettica interna – da una parte Carniti, dall’altra Marini – assunse toni troppo aspri; ciò non poteva non determinare duri contrasti tra gli schieramenti e, a volte, tra le persone. Ma la Cisl ritrovò subito una forte unità interna e scrisse – sotto la guida carismatica e intelligente di Pierre Carniti e Franco Marini – le pagine più belle della sua lunga e gloriosa storia, al servizio dei lavoratori e del Paese.
1985. Da San Valentino al Divino amore
Venerdì 7 giugno. Piazza Navona è inondata dal sole e gremita da migliaia e migliaia di lavoratori romani chiamati a raccolta da Cisl e Uil, per manifestare il No forte e convinto nel voto referendario per l’abolizione della legge per il contenimento della scala mobile, che aveva recepito l’intesa tra sindacati, Confindustria e governo del 14 febbraio, passato alla storia come l’accordo di San Valentino, contrastato duramente dal Pci e dalla componente comunista della Cgil.
La Cisl, la Uil e l’ala socialista della Cgil sono nettamente contrari all’abrogazione della legge. La Cgil, invece, è schierata su posizione opposta. E’ in atto una profonda divisione tra le confederazioni che incrina fortemente i rapporti unitari, da tempo consolidati. Il Partito comunista, guidato da pochi mesi da Natta, dopo la tragica morte di Enrico Berlinguer, stroncato da un malore dopo un comizio a Padova, sostiene con forza la Cgil in questa difficile battaglia, che aveva certamente una matrice sindacale, ma era anche un duro scontro politico: e non solo per le prospettive del governo Craxi e quelle sempre più flebili del centro-sinistra, ma per lo stesso Partito comunista da sempre – e non a torto – considerato egemone tra i lavoratori, i pensionati, le classi popolari.
Era una battaglia difficile, che la Cisl, sotto la guida ferma e determinata di Carniti e Marini, sviluppò in stretta sintonia e unità con la Uil di Giorgio Benvenuto e in accordo con la componente socialista della Cgil, guidata dal vice di Luciano Lama, Agostino Marianetti.
Nel suo caloroso comizio, pieno di giudizi taglienti e slogan efficaci, Carniti, oltre a chiedere ai lavoratori un ultimo sforzo per il voto al No, nell’interesse dei lavoratori e del Paese, si soffermò molto sull’importanza di un voto che non poteva non avere effetti sul potere del sindacato, sulla sua autonomia dai partiti politici, sul ruolo determinante che ha e deve continuare ad avere in un Paese democratico. Ma, oltre le positive previsioni (quasi rituali) dell’esito del referendum e la fiducia di una vittoria, salutata dalla piazza con grandi applausi e sventolii di bandiere e striscioni, serpeggiava, anche sul palco, qualche preoccupazione. Del resto, tutti, tutti i sondaggi davano vincenti largamente i Sì; nel Pci erano certi di una importante, significativa vittoria.
Ero sul palco, vicino a Pierre che da poco aveva concluso il suo applauditissimo comizio. “E allora – gli dissi – come va a finire?”. “Non lo so, non lo so proprio. Ma spero bene.” rispose e, dopo poco, aggiunse:” “Se vinciamo, vado a piedi al Divino amore a ringraziare la Madonna”. Subito gli dissi: “Posso venire anche io?”. “Certo” rispose, sorridendo.
Quando il lunedì successivo, in serata radio e tv annunciarono la vittoria netta del No (il 54% e ben il 78% dei votanti) telefonai subito a Pierre per complimentarmi e ricordare la “promessa”, il voto, e prendere accordi per il …pellegrinaggio al Santuario del Divino amore.
All’indomani, verso le sette, andai a casa da Carniti, in via Oppido Mamertino sulla via Appia Nuova, alla confluenza con l’Appia Pignatelli. Anche Mario Colombo fu della compagnia. Iniziammo la marcia, circa 12 km, lungo il ciglio della strada, passando per le Capannelle, Tor Pagnotta, l’Ardeatina e via di Castel di Leva, seguiti dalla Lancia di servizio, che ci riportò a casa. Più di tre ore di …marcia. Una marcia “trionfale” che non dimenticherò mai.
Di questa promessa, di questo voto, di questa devozione alla Madonna del Divino amore (tanto viva e sentita tra i romani), di questa “marcia” non fu data opportunamente notizia. Ma oggi, passati oltre quarant’anni, non c’è motivo per non ricordarla. In segno di gratitudine, stima e affetto per Pierre.